Con la menopausa aumenta il rischio osteoporosi: come combatterla
Nella lunga lista di antipatici “compagni di viaggio” caratteristici della menopausa bisogna inserire purtroppo anche l’aumentata predisposizione all’osteoporosi. Le donne costituiscono il loro patrimonio osseo fino ai 20 anni, tendendo a mantenerlo costante nel corso di tutta la vita fertile. Con l’avvento della menopausa a diminuire è invece proprio la massa ossea. Il fisiologico calo degli estrogeni incide infatti in maniera significativa sul processo di rimodellamento osseo, ovvero il meccanismo mediante il quale l’organismo rimpiazza l’osso vecchio con il nuovo, con l’obiettivo di mantenerlo sano. Nelle donne in menopausa si perde ogni anno il 2-3% della porzione di nuovo osso sintetizzato durante il rimodellamento. Ciò significa che, dopo pochi anni, a manifestarsi può essere una perdita di massa ossea accompaganta da un mutamento riguardante la conformazione scheletrica generale, portando le donne a sperimentare una maggiore fragilità ossea ed un conseguente incremento (pari al 50%) del rischio di fratture.
Il motivo è da ricondurre non solo al fatto che le ossa non sono più giovani, ma che gli estrogeni regolano pure l’assorbimento del calcio a livello intestinale. L’organismo sopperisce a questo ridotto apporto utilizzando in maggior misura il calcio depositato a livello scheletrico, così da mantenere nei limiti di norma il livello di calcio. Per far sì che l’impoverimento della massa ossea non passi da fisiologico a patologico è possibile ricorrere ad una terapia a base di condroitin solfato e glucosamina solfato.
Glucosamina solfato e condroitin solfato per proteggere le articolazioni
Condroitin solfato e glucosamina solfato appartengono alla famiglia dei cosiddetti “condroprotettori“, molecole endogene, ovvero presenti all’interno della cartilagine articolare di ogni individuo, capaci di opporre resistenza ai processi artrosici degenerativi tipici della menopausa. Diversi studi hanno appurato questa proprietà: in particolare la glucosamina, “in vitro”, è risultata in grado di modificare il metabolismo dei condrociti, cioè delle cellule che producono le componenti della cartilagine. Non solo: la molecola è stata anche capace di ridurre l’infiammazione svolgendo un’azione immunomodulatrice.
Per quanto riguarda invece il condroitin solfato, in condizioni fisiologiche ha dimostrato di svolgere un importante intervento per il mantenimento dell’elasticità della cartilagine. Ciò è stato possibile inibendo la degradazione degli enzimi ialuronidasi ed elastasi. Sebbene la comunità scientifica sia tuttora divisa rispetto alla loro reale efficacia, è diffusa la scelta di optare per un approccio terapeutico teso ad associare le due sostanze, nel convincimento che usate in maniera combinata siano in grado di lavorare in sinergia e rallentare la progressione del danno articolare. In presenza di effetti collaterali perlopiù marginali e saltuari, la domanda è la seguente: dopo averne parlato con il medico e il farmacista, perché non provare?