Pillole di iodio anti-radiazioni: facciamo chiarezza
La paura che Vladimir Putin ordini un attacco nucleare; il timore che negli scontri tra truppe russe ed ucraine possa ripetersi una tragedia in stile Chernobyl: sono principalmente queste le preoccupazioni che hanno portato in questi giorni migliaia di persone a fare scorte di pillole anti-radiazioni a base di iodio. Emblematico il caso del Belgio, dove non si vedeva una tale domanda dal marzo 2018, quando ebbe luogo l’attuazione del piano di sicurezza nucleare. Ad alimentare la caccia alle pillole sono state senza dubbio anche le scene della popolarissima serie tv “Chernobyl”, in particolare quelle in cui si vede la scienziata nucleare Ulana Khomyuk ingoiare prontamente una pillola di iodio (e consigliarne l’assunzione) subito dopo aver appreso dell’incidente alla centrale nucleare.
Pillole allo iodio: come funzionano
Nel caso di Chernobyl, a creare problemi fu soprattutto l’emissione di iodio-131, un isotopo radioattivo che, se inalato, può accumularsi nella tiroide fino a favorire lo sviluppo di cancro. L’assunzione delle compresse di ioduro di potassio può evitare questo accumulo: in che modo? Provvedendo a saturare la ghiandola tiroidea con iodio non radioattivo. La somministrazione dello ioduro di potassio risulta maggiormente efficace se avviene prima dell’esposizione agli isotopi radioattivi. Anche somministrazioni successive ottengono dei risultati, ma col passare delle ore l’efficienza della protezione cala progressivamente. Bisogna poi ricordare che le pastiglie di iodio non offrono protezione contro altre sostanze radioattive che potrebbero essere emesse in presenza di un disastro nucleare. Inoltre, le pillole sono indicate soltanto per determinate fasce d’età. In caso di fuoriuscita di radiazioni, i soggetti più a rischio di sviluppare tumori sono i minori di 18 anni, specialmente i bambini.
Al momento l’unica opzione per aver accesso al potassio ioduro è rappresentata dal preparato galenico allestibile in farmacia con ricetta medica non ripetibile (essendo un “veleno”) valida per 30 giorni. A prescrivere il dosaggio dev’essere dunque un medico: una dose eccessiva può infatti provocare alcuni effetti collaterali, come l’aumento di incidenza delle patologie autoimmuni.