C’è una correlazione tra bassi livelli di vitamina D e morte per Covid-19?
C’è una correlazione tra bassi livelli di vitamina D e morte per Covid-19? Diversi studi sembrano indicare quest’ipotesi, al punto che il governo inglese guidato da Boris Johnson ha deciso che a partire dal prossimo mese distribuirà la vitamina D ad oltre 2 milioni di persone classificate come “clinicamente fragili” e ospitate nelle case di cura del Paese. A spingere per questa mossa, già adottata nella vicina Scozia, è stato in particolare Matt Hancock, ministro della Salute inglese, secondo il quale evidenze sul collegamento tra assunzione di vitamina D e minor rischio di morte per Covid-19 starebbero venendo a galla in diversi studi scientifici. Lo stesso inquilino di Downing Street, Boris Johnson, è sembrato particolarmente interessato agli sviluppi di questo filone, annunciando che “stiamo guardando ai possibili benefici della vitamina D e presto riferiremo in Parlamento”.
Gli studi sulla vitamina D e il Covid
Ma quali sono gli studi che hanno portato il governo inglese a decidere di “integrare” con la vitamina D le diete di due milioni di persone nel Paese? Uno è quello realizzato dal team di ricercatori guidato da Gareth David, che ha appunto evidenziato un legame tra bassi livelli di vitamina D e rischio di morte per coronavirus. Da qui è derivata la richiesta da parte di alcuni scienziati al governo inglese di aggiungere la vitamina D ai cibi base dell’alimentazione della popolazione, come pane e latte.
Poco tempo fa era stato lo studio realizzato da un gruppo di scienziati spagnoli, coordinati dal professor José Hernàndez e pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, a notare come l’82,2% dei pazienti ricoverati in un ospedale iberico avesse livelli di vitamina D pericolosamente bassi. A conclusioni simili era giunto uno studio condotto dall’Università di Chicago e pubblicato sul Journal of American Medical Association Network Open: gli scienziati in questo caso avevano concluso che le persone con bassi livelli di vitamina D potrebbero avere fino al 60% di probabilità in più di risultare positive al coronavirus, rimarcando così il ruolo della vitamina D nel sistema immunitario. In Italia, a parlare dei benefici della vitamina D erano stati invece nel mese di maggio due docenti dell’Università di Torino, Giancarlo Isaia e Enzo Medico, ma le loro posizioni – basate sull’osservazione di una grave carenza di vitamina D in molti pazienti Covid – erano state criticate da molti colleghi per la mancanza di validazione scientifica.
Vitamina D: guai ad esagerare
Da tempo è risaputo che la vitamina D, prodotta in maniera naturale dall’organismo quando il corpo è esposto al sole – oltre che presente in molti alimenti come latte, funghi, tonno, salmone, pesce spada, funghi e cioccolato fondente – rappresenta un’importante alleata per la nostra salute. Basti pensare alla funzione esercitata per preservare ossa, muscoli e denti, mediante il mantenimento dei corretti livelli di calcio e fosfati. L’importante è non esagerare: in caso di abuso, infatti, la vitamina D può risultare tossica: il rischio è quello di incappare in problemi quali mal di testa, vomito, contrazioni muscolari e, nei casi più gravi, nella comparsa di calcoli renali.
Ora l’accelerazione del governo inglese: possiamo contare su un’insospettabile alleata, la vitamina D, nella lotta contro il Covid-19? In attesa di una risposta definitiva: integrarla con moderazione non fa male, abusarne certamente sì!