Test immunologici Covid-19: quanto sono attendibili?
“Test, test, test”. Questo l’imperativo indirizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ai governi impegnati nel tentativo di contenere il contagio quando ancora il coronavirus doveva manifestarsi in tutta la sua forza. Ma ora che ci avviciniamo alla “Fase 2”, almeno in Italia, l’attenzione degli esperti e dell’opinione pubblica è rivolta non più (o meglio, non solo) ai test da effettuare per verificare i nuovi casi positivi, ma ai cosiddetti test immunologici.
Gli esami in questione, infatti, sono in grado di verificare la presenza nell’organismo degli anticorpi al coronavirus, segno inequivocabile che una persona ha incontrato il Covid-19 e lo ha sconfitto. Nelle idee dei governanti c’è l’assunto – derivato dalla letteratura scientifica – che chi ha superato il virus e ha sviluppato gli anticorpi non possa riammalarsi (quanto meno a breve) e possa ricevere in questo modo una sorta di “patente di immunità” tale da renderlo abile al ritorno alla vita lavorativa e sociale. Ma che tipo di attendibilità hanno attualmente i test immunologici? Ci si può davvero fidare?
Test sierologici
Le domande in questione hanno un certo peso: immaginate cosa significherebbe ritenere immuni persone che non lo sono realmente, mandarle in giro liberamente e scoprire che hanno contagiato chissà quante altre persone. Senza considerare che non conosciamo ancora abbastanza il nuovo coronavirus per dire con certezza che sia impossibile riammalarsi a breve termine. Anzi: molti casi di persone guarite e ammalatesi nuovamente suggeriscono esattamente il contrario.
In questi giorni si fa un gran parlare dei test sierologici, esami che analizzano il sangue andando alla ricerca degli anticorpi IgM (immunoglobuline M), che si producono con la malattia ancora in atto, e delle IgG (immunoglobuline G), che invece fanno la loro comparsa dopo l’infezione e svolgono solitamente una funzione di protezione a lungo termine nei confronti del microrganismo. I kit per eseguire test immunologici spuntano in questi giorni come funghi: ne esistono al momento oltre un centinaio, alcuni impiegano alcune ore per dare il loro responso, altri addirittura promettono un risultato in pochi minuti. Peccato però che ad oggi non sia possibile fare conto sulla loro attendibilità al 100%.
La posizione della scienza
Al proliferare di richieste e petizioni che invocavano il via libera ai test sierologici per rilasciare la già citata “patente di immunità” ha replicato l’Associazione Italiana di Epidemiologia precisando che “non esiste al momento alcuna certezza nell’usare i test sierologici (tantomeno quelli commerciali già esistenti) a fini diagnostici individuali o per “certificati di immunità”, dato che non c’è consenso circa il tipo di anticorpi che vengono identificati dai diversi test, né sulla loro capacità di svolgere un ruolo protettivo dall’infezione virale”.
Gli stessi epidemiologi hanno ribadito dunque che “allo stato attuale l’esecuzione di un prelievo di sangue non fornisce indicazioni chiare sul grado di protezione anticorpale, e bisogna lasciare ancora tempo alla ricerca scientifica per mettere a punto un test veramente affidabile”. Una posizione ufficiale è stata espressa anche dal Comitato Tecnico-Scientifico del Ministero della Salute, che in una nota ha confermato come ad oggi “non esiste alcun test basato sull’identificazione di anticorpi (sia di tipo IgM che IgG) diretti verso SARS-CoV-2 validato per la diagnosi rapida di contagio virale o di COVID-19“.
Gli esperti precisano inoltre che “l’Organizzazione Mondiale della Sanità sta attualmente valutando circa 200 nuovi test rapidi basati su differenti approcci e che sono stati portati alla sua attenzione; i risultati relativi a quest’attività screening saranno disponibili nelle prossime settimane. Nel suggerire cautela nell’impiego di test non validati, il CTS è disponibile a fornire opinioni e suggerimenti alle Regioni che lo dovessero richiedere”.